Intervista a Marco Carobbio

Testo e intervista: MAURO ZANCHI
Fotografie: GIULIA MARTINELLI – C-JAY
Layout e illustrazioni: BEATRICE TRAININI

Mauro Zanchi: Per mettere in azione un processo di controinformazione e un tentativo di bilanciamento critico rispetto alla retorica di unire due città spesso in competizione tra loro, ancora più ricorrente nella attuale società dell’intrattenimento, cerchiamo di fare un viaggio a ritroso nella storia per individuare dove ha avuto inizio il rapporto di antagonismo tra Brescia e Bergamo. In quale periodo storico possiamo collocare l’origine delle diatribe fra le due province confinanti? E quali sono invece le analogie e le corrispondenze culturali ed economiche fra le due città?

Marco Carobbio: È capitato spesso nel corso degli anni recenti – e specialmente negli ultimi due decenni – di trovare qua e là nella stampa locale ritorni di interesse alle diatribe e alla vera o presunta concorrenza tra Bergamo e Brescia. Ha influito, per certo, l’onda calcistica degli incontri-scontri tra le squadre di calcio dell’Atalanta e del Brescia – per non parlare di quelli tra le rispettive tifoserie – ma anche la necessità di un confronto, di una ricerca di dialogo, a tratti persino drammatica, come è accaduto in tempi assai vicini, quando le due città si sono trovate accomunate dalla tempesta pandemica del Covid-19, in aree geografiche contigue e prese a simbolo dell’emergenza virale giunta in Italia.

Leggendo tra i giornali e i blog che, a vario titolo e con punte diverse di profondità, si sono interessate alla materia, constatiamo che alcuni insistono sull’ambito sportivo, altri sulla competizione economica tra due comparti manifatturieri gemelli e conflittuali, altri ancora sulla ricerca delle reali – e però più spesso fantomatiche – radici remote di una contesa politico-bellica. Così, troviamo chi menziona le lotte comunali tra Bergamo e Brescia, specialmente quelle concentrate tra la Val Camonica e il basso corso dell’Oglio e che vedono il Sebino quale fulcro principale di interesse: effettivamente nel pieno del XII secolo emergono ragioni di contesa lungo le aree liminari di due distretti potenti, nell’epoca in cui i comuni cittadini impongono con forza la propria giurisdizione territoriale sul contado e nelle valli prealpine.

Queste aree di confine, peraltro, continuarono per secoli e fino a non moltissimo tempo fa ad essere oggetto di incerta attribuzione: basti pensare alla Valle Camonica, tradizionalmente afferente a Brescia e riassegnata in età napoleonica nell’ambito del dipartimento del Serio, dunque a Bergamo.

MC: Come per qualsiasi altra terra di confine capita anche qui, ancora oggi, di trovare comuni rispondenti politicamente alla provincia di Bergamo e sul piano religioso alla diocesi di Brescia: è il caso della cittadina lacustre di Lovere. Proprio Lovere avrebbe significato, nel passaggio verso l’età moderna, un oggetto di interesse privilegiato sia da parte del capoluogo orobico sia per le mire della Leonessa. Qui confluirono commercianti, lavoratori, tessitori dalle valli circumvicine, dall’una come dall’altra sponda del lago, prima di avventurarsi lungo la via del Tonale e gettarsi verso i fondachi di Bolzano e i mercati del Tirolo, ormai nel cuore dell’Impero e dell’Europa centrale.

Questa ricchezza e questa intraprendenza d’antica data avrebbero significato forse il più autentico senso del contendere fino ai giorni nostri: le due città vantano capitani di industria e uomini di spicco nell’ambito della politica e della cultura – mi piace ricordare in dittico i nomi di Arturo Benedetti Michelangeli e di Gianandrea Gavazzeni – che hanno prolungato il senso di competizione dettato dal successo.

Eppure, tale e tanta forza vitale dalle due parti dell’Oglio ha sempre voluto dire anche contatto osmotico, necessità di compenetrazione e di comprensione. Il Sebino, ad esempio, fu area di scambio e di navigazione tra l’una e l’altra riva sin dai secoli centrali nel Medioevo. A lungo il ferro e i panni di lana bergamaschi sarebbero filtrati per questa via in direzione di Brescia e della dominante veneziana in età moderna, mentre le primizie vinicole della Franciacorta avrebbero compiuto il cammino inverso, alimentando le osterie fiorenti nelle valli tra le Orobie.

MZ: Sotto la dominazione di Venezia come co-agirono le due città?

MC: Venezia non fu la prima sovra-realtà a compattare sotto un unico esercizio di potere Brescia e Bergamo. Era accaduto sin dai tempi della signoria milanese, al punto che nel XIII secolo si verificò persino che bergamaschi e bresciani combattessero unitamente contro un’altra insidiosa vicina di casa, Cremona. Fu il Leone di San Marco, tuttavia, che più tardi venne a significare un accorpamento territoriale che qualifica fino ai nostri giorni, anche attraverso l’arte e l’architettura, le due province e le due città come Lombardia veneziana. Pure in questo campo le migrazioni furono significative, e così il più celebre pittore del Cinquecento bergamasco, Giovan Battista Moroni, andò a bottega dall’illustre bresciano Moretto, che di battesimo si chiamava Alessandro Bonvicino, tradendo col nome un’origine seriana, e più precisamente nella terra di Ardesio.

MZ: Cosa accadde nel XII secolo nelle terre di confine, fra i territori bresciani e quelli bergamaschi?

MC: Alla metà del XII secolo il vescovo di Bergamo fu impegnato in contese giurisdizionali con il presule cremonese per il controllo del territorio di Romano e della pianura bergamasca orientale. Nella stessa stagione, che vede Bergamo allineata su posizioni filoimperiali, venne intrapresa una guerra contro il pericolo montante da Milano a Ovest e da Brescia a Est. Qui si colloca un poema in esametri che decanta le gesta di Federico I Barbarossa fino al 1160, data topica per la distruzione di Crema. Le stagioni e gli episodi che di lì si aprirono sono il banco di prova ideale per comprendere la trasformazione del vecchio sistema feudale, impostato sulla signoria esercitata per terre e per contado dalle famiglie patrizie, oramai costrette a invocare il soccorso delle comunità urbane, che in questo stesso frangente intendono porre le basi dei rispettivi poteri distrettuali.

La linea di confine tra Bergamo e Brescia è – lo si è detto – molto estesa, perciò non deve stupire che cause remote che conducono agli episodi più significativi di scontro vadano indagate fino a parecchie decine di chilometri di distanza. Volpino, Ceratello e Qualino sono località ad oggi accorpate sotto l’unico comune di Costa Volpino, ma un tempo furono sedi di altrettanti patrimoni di famiglie apparentate, eppur rispondenti a due sovra-poteri feudali distinti: da un lato Brescia, dall’altro Bergamo. Nel momento in cui vennero a innescarsi conflitti, dunque, i parenti in lotta si rivolsero ciascuno per la propria parte alla sede centrale.

MC: La questione, almeno sulle prime, parve risolversi a favore delle famiglie bergamasche, i cui magnati entrarono in possesso di significativi castelli già sotto la giurisdizione del vescovo bresciano. Iniziarono, pertanto, rappresaglie reciproche, culminate in un primo fatto significativo nel 1154, con la dieta di Roncaglia promossa dal Barbarossa. Decadde l’alienabilità dei feudi, ristabilendo l’insindacabile arbitrato del feudatario di turno: i bresciani, dopo qualche tempo, attaccarono il Bergamasco e trascinarono con sé prigionieri. A poco valse l’intervento pro Bergamo del Barbarossa, che intimava il rilascio dei detenuti a Brescia, se nel 1156 l’esercito brixiense mosse alla volta del confine bergamasco, stabilendosi nei pressi delle Grumore di Palosco e attaccando battaglia con i bergamaschi, i cui fanti furono sopraffatti dalla cavalleria bresciana, in grado di mietere un numero ragguardevole di vittime e di prigionieri, rientrando a Brescia con lo stendardo alessandrino del comune di Bergamo.

Nei pressi di Telgate venne stabilita una pace a cui parteciparono gli abati di Astino e di Vallalta, il priore di Pontida e i nobili acquirenti dei castelli sul Sebino, che vennero restituiti all’episcopato bresciano senza alcuna richiesta di danni. Oltre ai prigionieri, mille bergamaschi furono chiamati a giurare sulle condizioni imposte da Brescia, ma a questi si sottrasse Johannes de Gandino, per lungo tempo discusso dalla storiografia bergamasca come uno dei possibili autori del poema anonimo dedicato alle gesta di Federico I. L’imperatore, per suo conto, tra il 1158 e il 1159 ridusse all’obbedienza Brescia, multandone gli eccessi di insubordinazione e suscitando la speranza di restituzione dei tre castelli dell’alto lago da parte dei bergamaschi. In questo frangente l’attività ordinatrice e bellicosa del Barbarossa valse a rideterminare con forza i confini della giurisdizione bergamasca, per quanto il Sebino restasse punctum dolens.

Di lì la scelta orobica di rioccupare con la forza i castelli, profittando della vicinanza geografica dell’imperatore. Teniamo, infatti, presente che la Val Camonica fu via di percorrenza privilegiata dalla Germania per Federico I, durante la stagione in cui venne configurandosi la Lega Lombarda attorno al 1167. Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova furono, per una prima volta, accomunate da una scelta politica, a difesa dei propri diritti, inglobando in più ampi accordi i milanesi. In quello stesso anno, pertanto, bergamaschi e bresciani furono vicini nella ricostruzione di Milano, spinti da una coesione d’intenti che fu sopita solo dal tempo, dopo la pace di Costanza, negli anni Ottanta del XII secolo. Gli antichi rancori delle Grumore e dei castelli di Volpino tornarono in auge.

MZ: Quale peso storico ha la battaglia di Rudiano alla luce di tutto quello che è accaduto precedentemente e di ciò che influirà sui rancori successivi? Quali conseguenze hanno preso corpo dopo questi scontri?

MC: La battaglia di Rudiano va collocata come atto epocale, in un certo senso, ma soprattutto per la storiografia bresciana, certo ben più di quanto non lo sia per i corrispettivi testi e documenti bergamaschi. Di fatto, gli accadimenti furono la conseguenza di quanto in corso oramai da decenni. Se si vuole trovare un più preciso casus belli si guardi con attenzione alla cessione di ampie terre tra la Valcalepio e Sarnico al comune di Brescia per mano dei conti locali, disposti a prestarsi in rapporto vassallatico con la Leonessa per l’acquisto di nuove pertinenze aldilà del Mella.

Brescia era, per giunta, alleata con Crema, rivale storica di Cremona, vicina a sua volta a Bergamo e a Pavia. Contro Brescia e Milano venne a costituirsi una federazione militare consistente di tredici comuni dell’agro padano pronti a una disputa che si sarebbe giocata proprio lungo il fiume Oglio. Tra Telgate e Palosco vennero insediandosi le truppe bergamasche, forse pronte a muovere in direzione del ponte di Palazzolo; mentre i bresciani furono chiamati a difendere anche un altro punto sensibile in corrispondenza delle terre volte verso il cremonese, e presso il castello di Rudiano in particolare.

Dobbiamo tenere presente che le zone calde di questo conflitto si trovano in prossimità dei principali snodi viari tra Brescia e Milano del tempo, lungo la via Francesca (o Francigena), o per meglio dire lungo le due varianti di tale via: una Francesca settentrionale, che dopo aver guadato il Serio a Ghisalba si dirige a Oriente in modo simile alla statale Ogliese, passando vicino all’oratorio di San Michele di Talave, dove venne stretta la pace dopo la battaglia delle Grumore del 1156; una Francesca meridionale (o via Carolingia), lungo un percorso campestre che da Cividate conduce alla chiesa di San Martino di Pontoglio e prosegue oltre, lungo i ciottoli della cosiddetta strada vecchia di Brescia in direzione di Coccaglio.

MC: Imprecisabile resta il numero delle milizie in campo, da un lato come dall’altro: certo la maggior frequentazione della storiografia bresciana con la materia ha, quantomeno, permesso nel tempo di cristallizzare l’attenzione sul leggendario eroe della disputa, quel Biatta da Palazzo che avrebbe risolto la contesa a favore della patria. La mattina del 7 luglio 1191, tra Cividate e Palazzolo i cremonesi gettarono un ponte di barche per assalire e mettere a ferro e fuoco l’agro bresciano, seguiti dagli alleati bergamaschi.

La reazione bresciana non si fece attendere, ma difettava di un concreto sostegno da Milano, motivo per il quale vennero sfibrandosi le barriere difensive. Nell’imminenza di una rotta, tuttavia, – come tradizione vuole – giunse il manipolo disposto a presidio del castello di Rudiano, disposto a Sud, e dunque sopraggiungente alle spalle dei cremonesi e dei bergamaschi. L’impeto di riscossa di Brescia indusse i nemici, tra numerose vittime, a battere la ritirata. La calca di uomini e di cavalli incalzati dalla Leonessa ruggente si risolse in sciagura sul fiume impetuoso, portando all’annegamento di gran parte degli assalitori. È essenzialmente per via di questo specifico episodio che il combattimento assunse il nome di battaglia della mala morte, adottato in ambito locale e persino dal celebre cronachista milanese Galvano Fiamma tra il XIII e il XIV secolo.

Da ultimo fu il carroccio cremonese a essere predato dai bresciani, che lo introdussero in città quale pegno di vittoria contro le vicine rivali. A questo punto sarebbe dovuto intervenire l’imperatore Enrico VI per sanare le contese, lunghe e trascinate nel sangue lombardo, stabilendo che Costa Volpino e Ceratello venissero restituite ai bresciani, mentre Sarnico e le località della Valcalepio tornassero a pieno titolo di pertinenza bergamasca.

MZ: Che ruolo ha avuto Obizio da Niardo nella battaglia della mala morte?

MCLe emanazioni imperiali diedero nuovamente prova di un oggetto di contesa lungo e frastagliato, che per Bergamo e Brescia in particolare significava la lunga scia dei domini confinanti sul Sebino e lungo il successivo tragitto dell’Oglio. Proprio a una curiosa figura nata lungo l’alto corso del fiume sarebbe stata attribuita la fissazione in un cantico conservato nel patrimonio memoriale bresciano degli avvenimenti della battaglia della mala morte, un nobile camuno della comunità di Niardo e futuro oggetto di culto e venerazione: Sant’Obizio. Egli stesso avrebbe preso parte all’assalto sull’Oglio e solo in seguito avrebbe ripiegato su una scelta di vita assai differente, ritirandosi presso il monastero benedettino di Santa Giulia di Brescia. A lui, dunque, viene assegnato un cospicuo carme latino, che ricorda la malizia dei cremonesi nell’ergersi a scudo della perfidia dei bergamaschi.

Il testo significa, ad oggi, una fonte importante per ricostruire il tragico avvenimento, del quale i versi mettono in risalto la crudeltà e l’asprezza, non lesinando nemmeno sulla codardia dall’una come dall’altra parte dello schieramento: in ogni caso, stando alla cronaca, a trionfare sarebbero state la giustizia e una volontà divina favorevole ai valorosi fanti bresciani. Lo stesso Obizio, stando alle leggende agiografiche, sarebbe rimasto vittima dei tumulti del ponte cremonese sull’Oglio e riuscì a trarsi in salvo quasi per prodigio dopo ore spese nella visione delle pene infernali, in premonizione di quanto sarebbe occorso ai peccatori dopo la morte. Scelse, pertanto, di abbandonare la comunità natale di Niardo e la moglie per abbracciare una scelta di vita eremitica e venire, da ultimo, accettato nel celebre monastero di città. 

Di fatto, la pace definitiva tra bergamaschi e bresciani, dopo circa un settantennio di contese sorte per ragioni feudali e in nuova temperie politico-comunale, si concluse nel 1198, nei pressi di Palazzolo, con la restituzione di Volpino e delle località limitrofe a Brescia e di Calepio con le sue adiacenze a Bergamo. All’atto pratico nuovi motivi di scontro, dettati anche dalla consolidata fraternità della Leonessa – che si preparava ad un’aspra stagione di scontri tutti interni tra due fazioni politiche – con Milano e di Bergamo con Cremona, non tardarono, se, come è documentato, alcuni bresciani accorsero in aiuto dei milanesi l’anno successivo in distruzioni perpetrate attraverso l’agro bergamasco.

MZ: Ci furono, invece, occasioni di avvicinamento e di collaborazione tra le due città nei secoli successivi?

MCNon sarebbero mancate già nel secolo seguente anche le occasioni di associazione tra Bergamo e Brescia, ma tra alterne vicende – dopo le prove generali ai tempi del condottiero e capitano di ventura Pandolfo III Malatesta all’avvio del XV secolo – le due città avrebbero stretto un patto silente, che portava l’estrema propaggine occidentale della Serenessima Repubblica di San Marco a trovare spesso e volentieri in Brescia gli interlocutori per trattare con i veneziani. Anche quando i bergamaschi delle valli rivendicarono maggiori autonomie lo fecero inviando i propri delegati in ambasciata a Brescia, dove i maggiorenti veneziani stazionarono poco oltre la decisiva vittoria di Maclodio del 1427: nel cuore del territorio bresciano venne a plasmarsi il destino congiunto di due città che nei secoli avrebbero insistentemente continuato a dialogare e a litigare.