I Guerrieri del Cantiere

testo: ELIA ZUPELLI
Fotografie: ELISA PASOTTI – JAUPI XHENIFER – SIMONE BUCCINÀ

In questi tempi bui di stordimento post-pandemico, “Il codice del müradùr” esiste e resiste. Si esprime ogni giorno dall’alba al tramonto, col rumore affilato dei flessibili in sottofondo: duri come il cemento armato, pirateschi e picareschi, bresciani e bergamaschi sono universalmente riconosciuti come i massimi interpreti della disciplina.Sotto il sole picchiato e sotto zero, sempre sfidando il meteo infame.

Segni particolari: a mani nude ovunque.

La voce del maestro Ivan Osio a colpi de pìc e badìl: “In fondo in fondo ci assomigliamo, siamo delle bestie uguali”

“Dopo di noi più nessuno”. Duri come il cemento armato, inossidabili come l’acciaio inossidabile, pirateschi e picareschi, bresciani e bergamaschi tosti, temprati, battaglieri nella polvere. Sotto il sole picchiato e sotto zero, sempre sfidando il meteo infame. Segni particolari: a mani nude ovunque. Figli dell’edilizia e di questa nostra terra concimata col sudore del duro lavoro, sono loro – muratori e in fondo in fondo anche un po’ filosofi di vita – gli ultimi baluardi di una cultura popolare che racconta fedelmente i due territori e, pure nelle reciproche diversità, li accomuna profondamente, nel valore del “saper fare”, nell’etica del rispetto e della dedizione, dell’artigianalità e dell’integerrimo spirito di sacrificio. In questi tempi bui di stordimento post-pandemico, “Il codice del muradùr” esiste e resiste. Si esprime ogni giorno dall’alba al tramonto, col rumore affilato dei flessibili in sottofondo: la sua dimensione è il cantiere. Microcosmo dentro cui si agita un’umanità dirompente, coi suoi rituali, le sue gerarchie, le sue virtù e le sue idiosincrasie. Con i suoi personaggi in cerca d’autore: uno di questi, all’anagrafe fa Ivan Osio, balza di slancio i cinquanta pur conservando l’energia di un ventenne. Nonostante gli acciacchi del tempo, gli sforzi bestiali profusi negli anni e una collezione assortita di ernie al disco fieramente esibite alla stregua di medaglie al valore: “Il freddo quest’anno prendeva i bronchi e ora che arriva l’estate sarà anche peggio. Tutto il giorno sul tetto con quaranta gradi, provateci voi! L’anno scorso ho fatto tre insolazioni, mi sono riempito di vesciche, dal collo fino al sedere. Per non parlare dello sporco, della polvere che mangi, della cacca dei piccioni…D’altra parte questo lavoro è così: lo fai solo se hai passione”. Il nostro beneamato argonauta lo ha premesso e più volte ribadito durante l’incontro fatidico con la brigade terible di Moltobene avvenuto in “zona neutra” ad Azzanello, in provincia di Cremona, praticamente in mezzo al nulla. Lì, Ivan & friends, un’affiatata squadra di sei-sette elementi tutti d’un pezzo, sono tuttora alle prese con un enorme cascinale in fase di ristrutturazione.

Pane per i loro denti. Ma non per chiunque: “In venticinque anni di esperienza me ne sono capitate di tutti i colori. Il record però è due ore…in che senso!? Nel senso che un ragazzo al suo primo giorno è arrivato in cantiere alle 8 di mattina e alle 10 mi è toccato riportarlo a casa perché non ce la faceva più. ‘Siete matti, fate un lavoro di merda’. Magari aveva anche ragione, di certo però non aveva il fisico. E allora arrivederci e grazie”. Non stupisce dunque che quella del muratore sia una ormai una figura in via d’estinzione. O comunque più unica che rara (specie se con certi crismi). Quantomeno in costante metamorfosi ed evoluzione, perché in altre epoche si stava anche peggio: “Una volta era veramente un inferno. A Lecco arrivavo a fare quindici ore al giorno, ma me ne pagavano solo nove: le altre erano per il viaggio. Tre all’andata e tre al ritorno. Stretti e foderati in quei furgoni che viaggiano in autostrada a 150 all’ora. Arrivavi a casa alle nove di sera, a patto di non trovare la nebbia, che d’inverno in queste zone è una costante, e alle quattro di mattina risuonava la sveglia. Melegnano, San Zenone, hinterland milanese: un incubo…ma il peggiore fu un cantiere in via Macello (nomen omen), a Cremona. Lì era davvero un macello: 55 appartamenti, condizioni al limite della sopportazione. Fortunatamente oggi molte cose sono cambiate: la salute e la sicurezza sono diventare prioritarie. I sacchi di cemento si sono alleggeriti, con le gru si fa meno fatica, niente alcol in cantiere (a Milano giravano le bottiglie di Fernet Branca) e ai piedi indossiamo tutti le scarpe infortunistiche, come da protocollo. E guai a chi sgarra”. Certi elementi pittoreschi possono comunque completare il look con un tocco vagamente esotico: proprio come nel caso di mister Osio, che ai lobi sfoggia orecchini alla Jack Sparrow e in testa una sorta di copricapo gipsy stile Barabba di “Ricky e Barabba”, tanto per rimanere in tema di assonanze cinematografiche.

Felpa comoda, giubbino smanicato, marsupio a tracolla d’ordinanza; cazzuola, frattazzo, maleppeggio, filo a piombo, livella e l’avventura può iniziare ormai: i ferri del mestiere sono gli inseparabili e sagaci alleati nelle quotidiane battaglie sul campo. “La mia storia in realtà inizia molti anni fa, in una fabbrica di ciabatte: avevo cinquanta dipendenti, quasi tutte donne, poi arrivò un rapido declino e decisi di cambiare vita. Mi rimboccai le maniche e a denti stretti iniziai come manovale, oggi sono capo cantiere: in particolare amo lavorare sugli impianti e sulle finiture, diciamo che ho sviluppato una certa propensione alle belle arti. Giorno dopo giorno cerco di trasmetterla anche a mio figlio”. Giovanissimo, sulla ventina, nella squadra è l’unico rampante di ultima generazione a cimentarsi nella disciplina con acume, precisione e un pizzico di spregiudicatezza. Grazie anche ai preziosi consigli del padre, sempre al suo fianco a illuminare la trama di una storia che si arricchisce di ulteriori sfumature e ulteriori capitoli: “Lavoriamo insieme già da qualche anno, non sempre è facile ma le soddisfazioni non mancano. Il lavoro è anche un’occasione per condividere momenti ed esperienze. Litigare si litiga, direi una bugia se dicessi il contrario. Qualche bestemmia vola. Non solo fra noi, ma anche con gli altri compagni di squadra”. Un esempio e Ivan irrompe nel dettaglio: “Una volta a Rivarolo del Re ebbi a che fare con un collega particolarmente sbruffone, uno ‘sborlandel’, come li chiamiamo noi. Voleva che facessi un improponibile scavo nelle pietre per la corrente a metano: settanta centimetri di profondità e quaranta di larghezza. A dicembre, tutto ghiacciato. ‘Adès va aianti pìc e badìl’, mi urlò con tono umiliante e rincarando la dose con diversi insulti. Allora infilai il badile nella terra e lo attaccai al muro: ‘Sire drè a sbatiga via al cò’”.  Non meno acerrima la rivalità tra muratori bresciani – della Bassa in particolare: Roccafranca e Castelcovati le zone caldissime – e bergamaschi, al contempo accomunati da un senso di reciproca solidarietà nonché dalla stessa, totalizzante devozione alla causa. “Prima di tutto però viene il rispetto: se non hai quello non puoi lavorare in cantiere. Per il resto un po’ di sano campanilismo ci sta sempre. In fondo in fondo ci assomigliamo: siamo delle bestie uguali”.