VIETATO NON POGARE!

Face to face durante un tramonto da cartolina a Bagolino con i Kick, la band bresciana di origini valsabbine formata da Nicola Mora e Chiara Bernardini, su di giri per il nuovo, magnetico disco intitolato “Light Figures”. Volumi assordanti, atteggiamenti trasgressivi, ritmi frenetici: questo è il rock, la nuova musica dei giovani.

testo: ELIA ZUPELLI  fotografie: GIULIA MARTINELLI

Dolcezza e rumore, luce e oscurità, anima e corpo. Equilibrio d’opposti che s’attraggono. E anche quando l’equilibrio – vivaddio – viene meno per lasciare posto al caos, al disordine, allo smantellamento di tutto ciò che è forma, rigore, steccato o convenzione, il flusso trova la sua dimensione in “Light Figures”, nuovo album dei Kick per Anomic Records (Berlino), Dischi Sotterranei (Padova) e Sour Grapes (Manchester), in digitale, vinile e musicassetta. Sperimentata anche dal vivo con esiti onirici, la materia sonora plasmata da Chiara Amalia Bernardini (voce, basso) e Nicola Mora (chitarre, synth), affiancati live anche da Simone Apostoli e Nicola Giustacchini, unisce elementi ruvidi e avvolgenti in un dualistico magma “sweet noise” che concilia l’acido con il dolce, l’urto delle sensazioni con la morbidezza delle atmosfere. “Light Figures vuole valorizzare le ‘ammaccature’ dell’anima, il lato oscuro che caratterizza ciascuno di noi e che tentiamo sovente di reprimere perché ne siamo spaventati…Proprio come la luce e il buio, il nostro lato solare e quello più cupo sono strettamente connessi, e danno senso l’uno all’altro”. Alchemico, complementare: nove, ispirate volutamente lo fi, pervase da un immaginario naturalistico-simbolista, che tra zone d’ombra e iridescenze sbocciano in una rinfrancante primavera dello spirito.

Cominciamo riavvolgendo il nastro della cassetta: com’è nato il vostro progetto? 

Chiara È nato quasi per gioco, per sperimentazione. Nel 2013 suonavamo entrambi in altre band ma avevamo la stessa attitudine e lo stesso gusto musicale, così abbiamo voluto provare ad unire le nostre rispettive sensibilità artistiche. 

 Il 16 marzo è uscito il vostro ultimo disco, “Light Figures”, che segna un’importante evoluzione dal punto di vista stilistico e sonoro. Ce ne parlate? 

Nicola Indubbiamente rispetto ai nostri precedenti lavori, in cui era presente un uso massiccio di elettronica, questo è un disco interamente “suonato”. Suonato tutto in diretta, con un approccio quasi punk. 

Passioni, attitudini, influenze: le chiavi d’accesso al vostro mondo.  

Chiara Sicuramente, dal punto di vista sonoro, la caratteristica più evidente credo che sia la contrapposizione di elementi noise con elementi più onirici, morbidi, quasi pop, dovuta al fatto che abbiamo un ascolto musicale veramente onnivoro, dal pop al metal per intenderci. In generale traiamo ispirazione da più forme d’arte. Il cinema ad esempio, di cui siamo entrambi appassionati. E poi viaggi, conversazioni, punti di vista e di espressione, esperienze personali. 

Nicola Siamo i musicisti meno musicisti che ci siano. Io passo probabilmente più tempo a leggere e al cinema o a guardare mostre che a suonare. La musica è una delle mie grandi passioni, non superiore alle altre per importanza. L’ultimo nostro videoclip, ad esempio, l’abbiamo scritto, diretto e girato noi direttamente, perché volevamo metterci alla prova con una forma d’espressione diversa. 

Che rapporto avete con la scrittura?  

Chiara Come altra grande passione posso citare il “linguaggio”. Sono iscritta a un dottorato di ricerca in linguistica, che è una delle mie aree d’interesse, in particolare la psicolinguistica, cioè come il linguaggio viene processato ed elaborato a livello cognitivo. Questa componente più scientifica e di curiosità verso un mondo linguistico e psicologico si riflette in qualche modo anche sui testi. All’interno del disco c’è una canzone intitolata “Benvegnuda” che porta al centro questo personaggio storico, Benvegnuda Pincinella, una guaritrice/fattucchiera originaria di Nave, in provincia di Brescia, che venne messa al rogo nel 1518 perché sospettata di stregoneria. 

Radici ultralocal, sguardo oltreconfine: come conciliate questi opposti? 

Nicola In modo molto naturale, perché in fondo fanno parte di noi. Siamo profondamente legati ai luoghi in cui siamo cresciuti, fanno parte della nostra crescita ma per il tipo di progetto che proponiamo e il tipo di musica che facciamo, cerchiamo di guardare anche fuori dai confini territoriali e soprattutto nazionali. Ad esempio con questo disco siamo riusciti a stringere una collaborazione con due etichette, una di Manchester, che ci ha realizzato le cassette, e una di Berlino che distribuisce fisicamente i vinili in tutta Europa. Abbiamo anche i piedi in Italia con l’etichetta Dischi Sotterranei di Padova. Non siamo affatto esterofili: pur con tutte le sue contraddizioni, siamo orgogliosi del paese da cui veniamo, di essere italiani e crediamo che questo di caratterizzi e differenzi molto nel momento in cui vai a confrontarti in un mercato estero. In “Light Figures”, per dire, c’è anche un brano cantato totalmente in italiano. Portare una lingua che di solito non appartiene al rock alternativo fuori dai confini nazionali ancora oggi rappresenta una sfida. 

 Come descrivereste la vostra estetica? Quanto è importante? 

Chiara Il nostro immaginario deriva da tutte queste ispirazioni. La fotografia in copertina è di Marco Pietracupa, crediamo rappresenti bene le due anime contrapposte del nostro suono e in particolare quello che emerge da “Light Figures”, una componente più scura, di ombra e una più di luce, una tensione verso la luce che di fatto rappresenta un po’ l’ambivalenza dell’essere umano, l’essere fatti di luce e di ombre e di non rinnegare per forza le proprie ombre ma di cercare di conviverci in equilibrio. 

Nicola E’ importantissima anche perché a volte per noi le ispirazioni sono a volte più visive che sonore. La componente visiva è spesso la prima fonte di ispirazione. La tramutiamo in qualcosa di sonoro. Se dovessi scegliere, mi reputo molto più visivo che legato al senso dell’udito. La parte visiva è tutto per me, come approccio generale alle cose. 

Tra “Phenomena” e Damien Hirst: che significato assumono le farfalle nell’immaginario di questo lavoro? 

Chiara Più che altro si tratta di un elemento di suggestione, in primis proprio a livello estetico. Non c’è un vero e proprio concetto dietro, se non il fatto che un’ispirazione molto stimolante per noi è la natura. E di conseguenza gli elementi naturali ricorrenti lasciano sempre un segno nel modo in cui ci esprimiamo. 

 Siete nel bel mezzo di un tour che vi sta vedendo impegnati in tutta Italia. Com’è stato tornare a suonare dal vivo dopo un lungo silenzio?  

Nicola Elettrizzante! Una scarica di adrenalina: c’è voglia di contatto umano, di energia sopra e sotto al palco, c’è voglia di tornare a pogare. Con questo disco abbiamo cambiato molte cose, prima di tutto abbiamo eliminato l’utilizzo della basi e siamo passati da essere 2/3 a 4 musicisti. Chiara alla voce e al basso, io alla chitarra, Nicola Giustacchini alla batteria e Simone Apostoli alle tastiere e percussioni. Abbiamo già diverse date fissate tra cui, per restare in tema Brescia-Bergamo, una data il 14 maggio all’Edoné, proprio a Bergamo. 

 Nel disco non mancano incroci sonici e collaborazioni estemporanee, anche di profilo internazionale. In particolare, com’è nata quella con Scott Reeder dei Kyuss, che suona il basso in “Setting Tina”? 

Chiara Siamo grandissimi fan dei Kyuss e di Scott, che ha uno stile unico. L’abbiamo contattato online durante la pandemia e con nostra grande sorpresa si è reso disponibile a registrare una traccia di basso per il pezzo. Abbiamo tra l’altro conosciuto una persona splendida e molto umile, entusiasta e partecipe. Una doppia sorpresa. Abbiamo collaborato anche con Beppe Scardino (Calibro 35 e C’mon Tigre) per la registrazione dei fiati in “Viole”, anche lui un artista di alto livello, Cristian Bindelli degli A/lpaca che ha fatto delle seconde voci e con Giovanni Caniato che ha fatto tutte le batterie del disco. Infine, in veste di produttore, Marco Fasolo (Jennifer Gentle e I Hate My Village): era la prima volta che lavoravamo insieme ed è stato fantastico. 

Che rapporto avete con i social? 

Chiara Pensiamo siano necessari, sarebbe sciocco ignorare la loro importanza, offrono delle grandi possibilità, come appunto è stata poter collaborare con Scott Reeder. Allo stesso tempo possono essere anche un’arma a doppio taglio.  

Nicola Diciamo che teoricamente si ha il mondo a portata di mano ma poi dalla teoria alla pratica c’è della distanza…Sicuramente però se usati in modo adeguato sono di grande aiuto. 

 Qualcosa che invece non vi appartiene, che a priori lasciate fuori dalla porta? 

Nicola Le cose tiepide, quelle che vogliono accontentare tutti. La nostra musica non è mai un compromesso ma piuttosto un contrasto. Gli opposti che stridono ci piacciono molto. 

Chiara Non ci piace necessariamente il compromesso, quando crediamo in qualcosa e lo vogliamo portare avanti, lo facciamo consapevoli delle conseguenze. Penso si veda anche dal genere di musica che facciamo, che non è troppo di tendenza, diciamo. 

Il “rock” pretende ancora un approccio fisico allo strumento? Che rapporto avete con le macchine, con la tecnologia, con tutto ciò che è digitale e si suona in modo non convenzionale? 

Nicola Suonare è una parola che ha un significato, vuol dire avere uno strumento e fisicamente approcciarvisi. Quello secondo me è suonare. Produrre musica è un’altra cosa e si fa con strumenti come campionatori, computer e tutta una serie di oggetti che sono più vicini al mondo della tecnica. Detto questo, secondo me, uno non è meglio dell’altro.  

 Sia da musicisti che da ascoltatori, che aria tira per il futuro da queste parti? 

Chiara Mi sembra stia prendendo sempre più piede la musica analogica. C’è un po’ questa riproposizione di vecchi stilemi che ormai esistono da decenni però sembra che siano nuovi, forse perché c’è la voglia di ritornare ad una dimensione più fisica, più corporea rispetto a tanti anni invece di musica più digitale, magari anche per via della pandemia che ci ha tenuto fisicamente distanti. C’è anche più voglia, magari, semplicemente di tornare a pogare. Come si faceva da adolescenti.