Creativo, sperimentatore, radicale.
Tra cori ultras e vernissage, viaggio nel mondo non omologato di Andrea Mastrovito

Argonauta eclettico, ispirato e senza filtri, lo abbiamo incontrato a Bergamo, nella Chiesa dell'ospedale Papa Giovanni XXIII, dove ha realizzato "La crocifissione".

testo: ELIA ZUPELLI
fotografie: FRANCESCA LAZZARINI, GIULIA MARTINELLI, SUSAN PERANI, LUNA BELOTTI

Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978) si è formato in Italia e vive tra Bergamo e New York. Il suo percorso si concentra sul disegno, alternando il lavoro in studio a interventi pubblici installativi e performativi, spaziando dall’intaglio murale, all’intarsio ligneo, dal collage al frottage, dalla vetrata alla videoanimazione.

Cosa rappresenta nella tua esperienza personale “il viaggio”, filo conduttore di questo progetto editoriale. Viaggio in senso letterale, ma inteso anche come condizione mentale, come predisposizione interiore.

Contrariamente a quanto mi sarei mai aspettato – dato che non amo per nulla viaggiare – fino a oggi, nella mia vita, ho viaggiato moltissimo. Ho preso una vera e propria “abitudine” alla condizione di “viaggio” (tanto che solitamente dove vivo non ho armadi, ma valigie aperte) che non ho perso neanche in quest’anno e mezzo di pandemia. La scorsa settimana ho percorso New York – Parigi – Valencia – Villarreal – Amsterdam – New York in 48 ore, senza quasi rendermene conto, anche perché il viaggio coincideva con la prima trasferta di Champions stagionale della Dea… Lo scorso giugno invece ho noleggiato un camion e ho guidato ininterrottamente per 14 ore da Bergamo a Fontevraud, in Francia, per portarvi il grande pavimento intarsiato che avrei poi installato nell’Abbazia locale. Solitamente il trasporto delle opere lo lascio fare ai trasportatori incaricati, ma in quell’occasione – dopo mesi di zone gialle arancioni e rosse, mi era venuta voglia di muovermi un po’. Quindi, essenzialmente, come si può facilmente evincere, mi muovo per le trasferte lavorative o dell’Atalanta. E basta. Anche perché adoro passare il mio tempo in studio. Lì, mi muovo moltissimo, sia fisicamente, lavorando, che, soprattutto, mentalmente. E quello naturalmente è un altro discorso. Anche la città in cui ho scelto di vivere, New York, è una città in costante movimento, dove tra l’altro devi letteralmente “viaggiare” ogni giorno tra treni, pullman, taxi e a piedi per poter fare qualsiasi cosa.

Vivi a New York ma al contempo hai un legame simbiotico con la tua città: cosa ami di Bergamo? Cosa cambieresti di Bergamo? In cosa trovi sia cambiata negli anni? Cosa porteresti di Bergamo a New York e viceversa?

Bergamo è migliorata moltissimo in questi ultimi sei/sette anni. Sotto diversi punti di vista è un modello da seguire. Persino la reazione alla pandemia (in tutti i campi, da quello culturale a quello economico, dal sociale allo sportivo) è stata eccezionale. New York, al contrario, per quello che ho potuto constatare in queste ultime settimane, è ancora gravemente segnata da quanto successo. Anche se poi, come sempre, ti stupisce appena giri l’angolo. Ecco questo manca a Bergamo, dove non ci si stupisce quasi di nulla e dove spesso la mentalità porta a livellare verso il basso piuttosto che ad arrischiarsi verso l’alto (anche qui New York insegna..). Ma, che devo dire, sono innamorato della mia città, non vi trovo poi molto che cambierei.

Ribaltando la domanda: che “percezione” hai di Brescia? Per quali aspetti trovi che le due città si assomiglino e per quali invece si differenzino? Pensi siano due città che hanno espresso tutto il loro“potenziale”?

In quanto ultrà dell’Atalanta, non posso rispondere a questa domanda…

Il 2 Dicembre 2021, al progetto “La biodiversità dentro la città, la Val d’Astino”, viene assegnato il prestigioso Landscape Award 2021 (il premio del paesaggio del consiglio d’Europa).

…#moltobene. Quale pensi che sia la più grande sfida all’orizzonte, allorché insieme saranno capitali della cultura nel 2023? Quali i margini e gli strumenti per crescere? Quali opportunità? In particolare per l’arte e per gli artisti. Stai lavorando a dei nuovi progetti in questo senso?

Non sto lavorando ad alcun progetto particolare a riguardo. Penso che la sfida più grande sia a livello di strutture e di infrastrutture mentali e sociali. Più che per l’arte, per la gente. Diciamo che l’arte e la cultura in generale dovranno essere utili per riconnettere quanto un anno e mezzo di pandemia ha scollegato, ovvero i contatti – anche fisici – tra le persone. L’artista, d’altronde, è essenzialmente un creatore di legami e connessioni tra il mondo delle idee e quello del reale e, nell’ambito del reale, tra le varie sotto-realtà che lo compongono.

In che modo ritieni la pandemia, il lockdown, l’isolamento abbiano condizionato il mercato, da unaparte, e influenzato, dall’altra, la creatività degli artisti? La tua esperienza personale.

Se dal punto di vista della pratica artistica non mi sono mai fermato, in termini di mostre/progetti/eventi/fiere, mai lavorato così poco come nel 2020 e mai lavorato così tanto come nel 2021. E non sono il solo. Penso che un anno di maggese abbia fatto bene al mondo dell’arte, e soprattutto mi pare che ci sia maggiore interesse verso la ricerca e la pratica artistica, quindi verso le mostre piuttosto che verso la formula della fiera. In questi giorni a New York ho avuto molto più piacere a visitare le dozzine di gallerie che inauguravano mostre davvero eccezionali, piuttosto che l’Armory Show o Indipendent, dove spesso anche le opere di qualità si perdono nel marasma della sovraesposizione.

Chi e/o cosa ha più ispirato la tua ricerca?

Quello che ho letto e che ho studiato. Quello che vivo e che ho vissuto, e tutto quello che c’è nel mezzo. Tutto, insomma. 

L’opera, il libro, il film che ti hanno cambiato la vita.

Uhm che bella domanda… Opera: più che l’opera (ce ne sono centinaia che mi hanno illuminato strada facendo), direi la mostra antologica di Edvard Munch al Museo d’Arte Moderna di Lugano nel 1998. Per me, seminale.

Libro: un vecchio catalogo di una mostra di Picasso. Forse uno dei primissimi cataloghi che comprai a 19 anni. Credo lo pagai ventimila lire in una bancarella a Milano. Conteneva degli straordinari disegni di ballerine, e appena li vidi cominciai a disegnare disegnare e disegnare – almeno cinquanta disegni tutte le notti.

Film: due film, direi. Lo straordinario (così come l’omonimo libro) “E Johnny prese il fucile” (1971) di Dalton Trumbo (recuperatelo su qualche sito di streaming pirata e guardatevelo, è un pugno allo stomaco ma vale la pena!); e “Bram Stoker’s Dracula” (1992) di Francis Ford Coppola, un sogno (incubo) a occhi aperti.

L’artista più grande? Il più importante? Il più rivoluzionario? Il più sopravvalutato?

A turno mi sono piaciuti centinaia di artisti, anche se ho un debole per gli spagnoli: Pablo Picasso (che ha fatto TUTTO) e Francisco Goya, di cui passerei ore a guardare le pennellate potenti che si alternano alle velature sussurrate. Ultimamente mi sono innamorato anche di Hans Holbein, ammirato finalmente dal vivo a Basilea: un pittore divino, immensamente superiore a chiunque altro avesse attorno. Un genio.

E poi nel contemporaneo, William Kentridge, come potrei non nominarlo? E Kara Walker. E attorno a loro tanti artisti più giovani. Mi piace moltissimo Avery Singer, che ha dieci anni meno di me. E in Italia ho trovato grande ispirazione in tanti artisti eccezionali, da Gian Maria Tosatti a Ian Tweedy sino a Luca Francesconi.

La mostra/opera che più ha segnato finora il tuo percorso.

Come dicevo prima, quella di Munch a Lugano nel 1998.

Come ti definiresti in tre aggettivi? Come uomo e come artista.

Armonico, mi viene in mente solo quello. Me lo disse un giorno uno psicologo dopo settimane di sedute: mi ci aveva mandato la morosa che continuava a dirmi che ero pazzo. Lui dopo un po’ mi disse: “Andrea, mi sembri una persona armonica, secondo me è la tua morosa che è un po’ stronza”.

Hai mai provato un forte impulso a fare qualcosa di dannoso o sconveniente?

Certo, allo stadio, sempre.

Il tuo sogno più grande?

Non ho mai avuto sogni, e questo mi mantiene vivo. Pensa che brutto realizzarli. Cosa faresti dopo?

Il tuo incubo ricorrente?

Non ne ho di ricorrenti, anzi solitamente quando ho gli incubi mi diverto moltissimo, in qualche modo riesco a manipolarli in modo che sembrino davvero dei film dell’orrore di serie B. Fantastico. Quanto agli incubi “diurni”, beh, rimanere intrappolato dentro me stesso, quello è l’orrore che toglie il fiato.

Cosa trovi particolarmente gratificante nell’essere “artista”? Cosa invece non sopporti?

Non lo so, essendo quella cosa lì non ho esperienze di “essere” altre cose. Tutto mi è piuttosto naturale, sopportabile e insopportabile al contempo. Ultimamente direi che è stata un’enorme fortuna esserlo, soprattutto nei mesi di reclusione.

Il tuo lavoro ha reso felici altre persone?

Si dice in giro che la Vetrata della Chiesa dell’Ospedale di Bergamo abbia già fatto qualche miracolo…

Che rapporto hai con la critica? Esiste ancora la critica?

Eh, durissimo. È molto difficile rapportarsi con la critica in Italia perché è quasi inesistente. Le “critiche” migliori le ho sempre ricevute dagli artisti, oltre che da alcuni rari, bravi curatori (che non sono però da confondere con i critici). Non è un caso che abbiano messo Gian Maria Tosatti, ora, alla direzione della Quadriennale d’Arte a Roma. Sono molto fiducioso, so che ha uno sguardo trasversale che manca a gran parte del sistema dell’arte italiano. Chissà che non possa smuovere le coscienze critiche, finalmente, e rianimare il dibattito.

E con i social? Quanto contano oggi per un artista? A tuo avviso rappresentano una risorsa o un limite?

I social servono a due cose principalmente: a rimorchiare e a far soldi.Per questo servono come il pane agli artisti! Scherzi a parte, sì, credo siano molto utili. Instagram e il suo meccanismo, se ben utilizzati, permettono di scoprire artisti, mostre, gallerie, istituzioni in maniera instantanea, e persino di mettersi in contatto con loro!Una cosa impensabile solo pochi anni fa.

“L’arte è sempre contemporanea, perché è sempre figlia del suo tempo”: sei d’accordo?

Beh, sì, è una banalità ormai accettata da tutti, è scritta sulle borse e sulle magliette, quindi dev’essere così.

Pensi che la “tradizionale” fruizione di mostre, musei e gallerie sia ancora un modello virtuoso e sostenibile? Esistono nuove strade, nuove esperienze che reputi stimolanti? Puoi fare qualche esempio?

Dunque, per quanto riguarda l’Italia, di sostenibile, soprattutto a livello museale, c’è davvero poco. Se per nuove strade intendiamo il digitale e gli NFT, non penso che siano soprattutto strumenti, da utilizzare per semplificare alcuni passaggi – specie nell’acquisizione delle opere – oppure così come si usa la tela o la matita, come “materiali”. Altre vie non ne vedo, penso che la fruizione del reale, per quanto possibile, sia sempre la miglior soluzione.

In tutto questo: qual è il ruolo del “pubblico dell’arte oggi”? Quali sono le differenze sostanziali fra Stati Uniti ed Europa? Italia nello specifico.

Mah, sai, qui a New York si racconta che tutti siano un po’ artisti, quindi potenzialmente hai un pubblico dell’arte di milioni di persone in una sola città, per questo quando qualcosa funziona qui, funziona in tutto il mondo (anche per questioni economiche, ovviamente, e di potere di acquisto).Come diceva Liza Minnelli: “IfI can make it there, I can make it anywhere”. In Italia non potrà mai succedere la stessa cosa, sia perché il pubblico dell’arte è scarsissimo e più interessato al passato (a NY invece il passato non esiste) e sia perché il potere economico è infinitamente minore e, ancora, l’approccio al nuovo è un grosso ostacolo per un Paese ancorato, pietrificato nelle sue abitudini. Ma non lamentiamoci, perché comunque da noi esiste un ottimo substrato di collezionisti, spesso molto attenti e preparati, che permette agli artisti di continuare a creare. E bene o male gli artisti italiani, alla fine (vabbè, spesso da morti), vengono sempre riconosciuti a livello internazionale, per la qualità straordinaria della loro ricerca.

Ti sei espresso e continui a esprimerti con svariati linguaggi e svariati mezzi: quale senti oggi più affini alla tua sensibilità?

Tutto parte dalla punta della matita: il disegno è lo strumento primario d’indagine del mondo.

Altro metaforico simbolo di #moltobene: il vello d’oro. Qual è il “vello d’oro” di Andrea Mastrovito?

Da bergamasco: La Dea, ovvio.

Cosa consigli ai giovani studenti della Laba che vogliono seguire la tua strada?

Fate un altro mestiere, che è meglio!