Tradizione, artigianato, fuoco, cooperazione e mitologia.

Testo: Ilaria Vitali

 Layout: Ilaria Vitali e Thomas Sarkozy

Il fabbro, figura ancestrale tra le professioni dell’umanità, è colui che conosce l’artigianato del metallo e ne è custode della forgiatura e della plasmatura. La sua bottega è un santuario di calore e martellate, dove il fuoco danza sotto il suo controllo, tramutando il metallo in forma e bellezza.

Una professione secolare come la tua è ancora diffusa tra le nuove generazioni o credi che in epoca contemporanea si stia perdendo? 

Ormai nel nostro settore è difficile trovare o addirittura decidere di assumere un giovane apprendista. Innanzitutto, nella società di oggi è complesso tramandare ad un ragazzo che studia fino a venticinque o trent’anni una professione come la mia; si tratta di un mestiere che richiede quarant’anni di esperienza, se non di più, per essere imparato e perfezionato. Inoltre, i ragazzi odiernamente sono per lo più in cerca di un lavoro che permetta loro di guadagnare bene, andando a casa presto la sera. Ho accettato che l’occupazione del fabbro in futuro rimarrà sempre più una professione di nicchia. 

 

Come hai appreso l’arte dietro a questo mestiere? Hai imparato da tuo padre? 

Nel mio mestiere impari da tutti e impari da nessuno; la voglia di imparare risiede unicamente in te stesso. Quando si vuole conoscere qualcosa di nuovo, si deve andare, indagare, aggiornarsi e guardare come lavorano i maestri. È un po’ come fare il muratore: inizi ad osservare come funzionano le cose in cantiere e poi, piano piano, inizi a svolgere compiti diversi, dai più facili, fino poi a quelli più complessi e che richiedono più responsabilità. 

 

Se dovessi descrivere il tuo lavoro attraverso una parola chiave, quale useresti?

Cooperazione. Nella mia quotidianità lavorativa devo sempre confrontarmi con altri artigiani; quando si realizza un prodotto, ad esempio un cancello, un corrimano, piuttosto che un’inferriata, non c’è mai un unico professionista, ma ognuno si occupa e propone delle soluzioni inerenti al proprio ambito di competenza, al fine di creare un prodotto finale che sia armonioso nel suo insieme. 

In questo tipo di produzioni non serve solo il fabbro, si collabora anche con muratori, restauratori, marmisti e altre figure e come naturale conseguenza, nel tempo, si inizia ad acquisire tutte quelle conoscenze base che costituiscono il lavoro quotidiano delle persone con cui si collabora. 

Noi artigiani ci adoperiamo in base alla richiesta del cliente, non possiamo considerarci artisti indipendenti, perché non sempre finiamo a realizzare ciò che più ci aggrada, ma è solo unendo le nostre conoscenze che possiamo arrivare ad un risultato soddisfacente per tutti noi. 

 

Non ti è mai capitato che, dopo aver ricevuto indicazioni su materiali e luogo in cui sarebbe stata collocata una tua eventuale produzione, dovessi essere tu a fare una proposta libera e artistica?

Come detto prima, noi artigiani ci adoperiamo sempre a partire da input stabiliti dal cliente e che rispecchino il suo gusto e volere; detto ciò la mia libertà di espressione e creatività ci sarà, ma entro i canoni delle richieste pervenute e anche entro le limitazioni di tutti quei fattori esterni che concorrono alla finalità della mia produzione. Per esempio, se mi viene commissionata un’inferriata per una casa del Settecento, a parte i vincoli delle sovrintendenze, dovrò cercare per lo meno di progettare qualcosa che sia consono e attinente ad un ambiente di quel periodo storico. 

Perciò, quando so cosa devo realizzare, posso fare qualche proposta secondo il mio gusto, pur tenendo conto del fatto che si dovranno fare sempre dei ragionamenti estetici legati a tutto quanto appena detto.



Come mai, secondo te, nell’immaginario letterario, mitologico e biblico il fabbro è sempre stato identificato come colui che ha delle conoscenze e dei poteri superiori agli altri uomini? 

Probabilmente perché, ed è innegabile, il fabbro per secoli è stato la figura alla base di tutti gli altri mestieri. 

In qualsiasi epoca storica, egli era colui che passava perennemente il suo tempo a contatto con il fuoco; il suo potere era quello di plasmare il metallo e di governare e domare questo elemento. 

Attraverso le sue attività è riuscito a dare maggiore affidabilità agli strumenti utilizzati per l’operato della società: permise la costruzione di armi più resistenti e durevoli per la guerra, di attrezzi per l’agricoltura, di dispositivi metallici per il movimento e di utensili per la cucina. Allo stesso tempo la sua conoscenza di un elemento potente come il fuoco, lo rendeva sovrintendente della sostanza che con il suo calore garantiva non solo la sopravvivenza di intere comunità, ma, grazie alle sue applicazioni, anche un mezzo evolutivo.

Basterebbe pensare che nel battistero di Chiavenna vi è una fonte battesimale, opera scultorea romanica, nella quale il fabbro viene scolpito come personaggio successivo per importanza a quello ecclesiastico; in questo senso egli diventa emblema e capo di tutte le attività artigianali e lavorative.

Non per caso, fino a non molti anni fa, i fabbri erano persone che, conoscendo il potere sovrumano del fuoco, venivano chiamati in caso di incendio. Erano considerati i “pompieri” della loro comunità. 

La loro idealizzazione mitologica e quasi religiosa, deriva probabilmente proprio da queste loro singolari conoscenze e abilità. 

 

Calandoci nell’ambito religioso, cosa sai dirci su Sant’Eligio, santo patrono dei fabbri?

No, in realtà è Sant’Antonio. O meglio, premesso che ogni città ed ogni luogo identificano il proprio patrono in uno specifico santo, a Bergamo è Sant’Antonio ad essere comunemente riconosciuto come patrono dei fabbri, per via della sua nota capacità di dominare il fuoco. 

Viene raccontato che Sant’Antonio controllasse il fuoco degli incendi che in passato accadevano nelle stalle o nelle abitazioni agresti e che proteggesse le bestie e i contadini al loro interno. Il ruolo di protettore che gli viene affidato deriva da questi fattori. Perciò, da noi a Bergamo si ricorda lui come patrono, questo non esclude che in altri luoghi sia Sant’Eligio ad essere effettivamente identificato come tale. Storicamente i nostri antenati celebravano e facevano festa il giorno di Sant’Antonio, ricordo che i colleghi di mio padre, ma soprattutto di mio nonno, giungevano in città dalle valli per festeggiare il loro patrono. 

Nella nostra basilica, qui a Bergamo, è Sant’Eligio che afferra il cavallo, ma si trova di fatto vicino a Sant’Antonio che, tra le altre cose, pare essere uno dei personaggi principali nella scena, in quanto si trova tra la Madonna e il Padre Eterno. 

 

Abbiamo sicuramente già parlato della storicità che caratterizza il tuo mestiere; pensi che questa sia documentata e raccontata in maniera corretta odiernamente? 

Secondo me non sempre. Una cosa che ho notato negli anni è che non esistono musei dedicati specificamente al ferro e alla sua storia. 

Nei musei, soprattutto quelli di natura storica, sono presenti oggetti realizzati con ferro, ma vengono semplicemente presentati come una raccolta di opere a sé stanti, senza che la storia della loro produzione e progettazione venga raccontata. 

Il problema, probabilmente, è che molti studiosi non hanno competenze in questo campo dell’artigianato, quando magari invece su altri aspetti sono più informati. Nel campo dell’arte, ad esempio, è più comune trovare una guida all’interno di un museo che sappia esporre la tecnica pittorica, piuttosto che la storia di una particolare tela; molto più complesso è d’altra parte trovare qualcuno che sappia descrivere con precisione le tecniche di realizzazione di una spada o di un aratro.

 

Il nostro viaggio nel presente e nel passato di questa antica professione termina qui, in maniera malinconica e affascinata, uscendo dalla bottega di Raffaele in una giornata buia e uggiosa di novembre.